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Il Bruco e la farfalla

di Ennio Stamile.

Eccoci ancora una volta qui, nella calda Africa. Come ogni anno, essa ci accoglie con il volto sempre sorridente dei bambini. In Italia e in molti Paesi del mondo, dopo il solito festival corredato da polemiche regna la paura del nuovo virus cinese probabilmente sfuggito da qualche laboratorio militare. Le autorità governative cinesi hanno voluto dare prova di efficienza costruendo due ospedali in pochi giorni, coloro che muoiono perché infettati hanno un valore statistico, sono numeri, utili al confronto con le diverse passate epidemie.  Ciò che conta sono altri numeri, quelli che salgono e scendono dai tabelloni delle Borse. “Tutto il mondo è paese”, un antico adagio che la dice lunga a proposito dei pregi e difetti della nostra umanità. Così anche nella calda ed accogliente Africa non mancano le ingiustizie. Anzi! La strada che conduce all’Orfanotrofio di Sakété, dove vengono ospitati una quarantina di bambini è tutto un fermento di ruspe di camion e di polvere rossa che entra dappertutto. All’inizio dei lavori nella capitale Porto Novo campeggia un grande cartello con il viso compiaciuto e sorridente dell’attuale Presidente del Benin, con il suo slogan in rima baciata: “Talon le Président en action”. L’immancabile macchina del progresso da tempo è arrivata anche in molte parti dell’Africa, con le sue conquiste e le sue contraddizioni, le sue illusioni e corruzioni. Salvaguardia dell’ambiente? Pari allo zero: differenziata inesistente, plastica dappertutto, nessun problema con le discariche, quando sono colme basta appiccare il fuoco, i vecchi e gloriosi camion Berliet, costruiti alla fine degli anni 50, lentamente trasportano di tutto ma prevalentemente cotone e carbone, lasciano un’enorme scia di fumo nero intenso. Solo per ricordare che la sfida ambientale o è globale o l’abbiamo già persa in partenza. Ci sono luoghi però dove il progresso non arriva. Come l’orfanotrofio di Sakété curato dalle suore Agostiniane. Quei cento metri di strada che consentono di raggiungere il centro, sono sempre gli stessi. Un fossato nel mezzo causato dalle piogge, si fa di anno in anno sempre più profondo. Scegliamo di andare a sinistra il rischio è quello di finirci con due ruote dentro e ridanneggiare seriamente la macchina.  L’Associazione di cui facciamo parte, la San Benedetto Abate, da diversi anni affianca le suore che lo gestiscono cercando di alleviare le loro non poche difficoltà. L’obbiettivo che ci siamo prefissati è quello di realizzare una ludoteca. I nostri giovani volontari fanno un lavoro davvero straordinario, riuscendo anche a coinvolgere i bambini che si divertono con i pennelli a passare la “barbottina”, prima di stendere l’intonaco in terra cruda che copre l’orrenda pittura a benzina che tinteggia le pareti della sala. Sotto il nostro sguardo si dipana una scena unica dove s’intrecciano sorrisi, sudori, abbracci, capitomboli e sguardi incuriositi delle maestranze locali. Dedichiamo la ludoteca a Pier Emilio Acri, il piccolo bambino di sei mesi morto in un grave incidente stradale sulla A1 mentre viaggiava assieme ai suoi giovani genitori Stanislao e Daria Olivo, anch’essi morti nel tremendo impatto il 15 luglio 2018. Il tema che fa da sfondo all’iniziativa, “il bruco e la farfalla”, è un messaggio di speranza ed una provocazione per coloro che si lasciano governare dalla finanza. A questo potente colosso dai piedi di argilla, basta un impercettibile virus a far crollare il suo mondo fatto di speculazioni e di illusioni. Occorre impegnarsi con ogni mezzo per dare priorità ai bisogni primari, per dare dignità ad ogni persona, ai poveri e agli ultimi soprattutto. L’emozione della inaugurazione è tanta, ci sono tutti: il Commissario di Polizia, il Parroco con il suo vicario, le suore, ma soprattutto ci sono i bambini vestiti a festa. L’entusiasmo è salito alle stelle ed allora ci spingiamo a chiedere notizie circa lo status delle adozioni internazionali al Console che subito predispone un incontro in consolato con Giulio Melani, dell’associazione “Amici di don Bosco”, esperta nel settore, che ha deciso insieme alla moglie di vivere qui in Africa e di adottare tre splendidi bambini. La situazione, dice Giulio, è terribilmente peggiorata.  Da qualche anno a questa parte la tremenda macchina burocratica ha fatto il suo prepotente ingresso anche in questo delicatissimo ambito. È stata istituita una commissione governativa che dovrebbe esaminare le pratiche di adozioni il cui costo, qui in Benin, si aggira attorno ai tre milioni di Franchi CFA (circa 4.500 euro) a fronte di una spesa effettiva di 130.000 Franchi CFA (200 euro). Non gli interessa neanche il forte guadagno, preferiscono non fare niente. Un bambino che attende di essere accolto in una famiglia, di poter dire papà e mamma, quei tanti genitori che desiderano offrirsi al loro sguardo ed aprire il loro cuore interessano a pochi. Certo non alla finanza. Non si produce nulla. Men che meno alla politica sempre più schiava della prima e ancora incapace di scoprirsi “come alta ed esigente forme di carità”. Sebbene il nostro entusiasmo dopo l’incontro con Giulio sia scemato, la voglia di non arrendersi non si ferma. Allora proponiamo di sollecitare tramite il nostro amico Console Vitalino Gobbo e l’ONU le autorità preposte. Un altro incontro che certo non riteniamo causale – per noi che ci sforziamo di credere, nulla succede a caso – con un’associazione italiana “Famiglie rurali”, veneta, che opera prevalentemente nel Nord del Benin, ci stimola altre idee e progetti. All’insegna della solidarietà e delle cooperazione, decidiamo di vederci presto in Italia per condividere la gioia delle nostre esperienze, idee e progetti. Soprattutto perché siamo fermamente persuasi che tutti i bruchi… possono diventare farfalle.

Je m’appelle François.

Francesco,lo abbiamo conosciuto l’anno scorso all’Orfanotrofio di Sakété. Era l’ultimo arrivato di circa quaranta bambini. La pancia gonfia, il corpo esile, un fazzoletto di pelle attaccata a delle fragilissime ossa. Non sorrideva quasi mai Francesco, aveva sperimentato da circa un anno di vita il dramma di essere abbandonato in una buvette (una sorta di piccolo chiosco). Aveva visto la morte in faccia che bussava alla sua brevissima esistenza attraverso i tremendi morsi della fame. La sua giovane madre aveva partorito due gemelli. Un parto inatteso, due sono troppi da poter mantenere, quindi il dramma della scelta. Uno si porta con sé l’altro si affida alla sorte, che per lui è stata benevola visto che i proprietari della buvette lo consegnano ad un centro sociale dove rimane per 15 lunghi giorni. Finalmente decidono di affidarlo alle preziose cure delle suore Agostiniane. A distanza di un anno lo troviamo totalmente cambiato. Direi proprio rinato! Il suo sorriso penetra l’anima appesantita di noi adulti, la disseta con la freschezza delle spontaneità, della leggerezza dell’essere totalmente privo di “sovrastrutture”, di ipocrisie e delle varie maschere che indossiamo per tentare di essere a volte qualcuno, quasi sempre “nessuno” o “centomila” come tanti. Con il suo piccolo volto sorridente François, non si stacca mai dai nostri operatori, cerca il loro abbraccio, li segue ovunque. Da poco ha imparato a pronunciare il suo nome e con voce flebile ci ripete: “Je m’appelle François, mi chiamo Francesco!” Improvvisamente ci scopriamo discepoli di questo piccolo-grande maestro che ci insegna innanzitutto ad ascoltare il suo sorriso: “sono proprio io Francesco, quello abbandonato in una comune buvette, in un angolo remoto del Sud-Est del Benin, ai confini con la Nigeria. Ora ho un nome e una piccola, grande storia da raccontare. Ho anche un futuro da vivere. Sono stato partorito due volte: dal ventre di mia madre che mia ha custodito e nutrito per nove mesi. Ma una volta venuto al mondo, sembrava che per me non ci fosse più posto. Contavo meno di zero per questo vecchio mondo che ancora fa fatica ad imparare la gioia della condivisione. L’altra dal cuore fecondo e generoso di donne straordinarie. Sono loro ad avermi insegnato che… anche i bruchi possono diventare farfalle”.

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