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Benin – Diario di viaggio

Associazione San Benedetto Abate / Racconti dall'Africa  / Benin – Diario di viaggio

Ci mettiamo in partenza per il Nord del Benin. Il viaggio che ci attende è lungo, partiamo all’alba, la luna fa capolino fra le nuvole alla nostra sinistra, l’Africa di notte è molto buia. La strada che imbocchiamo è piena di buche, già molto trafficata. Un andirivieni di motorini che sbucano dappertutto, poi camion e macchine. Il traffico e la confusione di Napoli al cospetto sono davvero nulla. Intanto la luce dell’alba lentamente vince il buio della notte ed è subito esplosione di vita. Intoniamo le lodi e così quasi per miracolo l’inno si contempla con lo sguardo e si vede con il cuore…

L’aurora inonda il cielo
di una festa di luce,
e riveste la terra
di meraviglia nuova.

Fugge l’ansia dai cuori,
s’accende la speranza:
emerge sopra il caos
un iride di pace …

Dopo quattro lunghe ore trascorse prevalentemente a schivare buche, finalmente ci fermiamo a Dassá in uno dei santuari mariani più importanti di tutto il Benin. L’atmosfera sembra quasi surreale, un silenzio, una quiete che non sono di questo mondo dove il caos soffoca la pace.
Sotto l’imponente e silenziosa roccia si dipana il grande santuario e il pensiero va a Lei … la nostra celeste Madre…

Gravida di luce
porti il peso della nuova Vita
leggerezza della libertà
che in fretta solca le montagne

Grembo immacolato
fecondato dal Soffio divino
carne della Misericordia
per tutte le generazioni

Presenza di Dio
convocato da due abbracci
ed esulta l’anziano grembo
abitato dal precursore

L’incontro si fa benedizione
si allargano gli orizzonti
e Dio si fa conoscere
amante della piccolezza

Primato del ringraziamento
che riapre il dialogo con il cielo
Hai sentito il soffio di Dio
venire come un fremito nel Tuo grembo
pienezza dell’amore
sapore di un miracolo
che accade.

Ci accoglie il sorriso della fraternità e dell’ospitalità di una suora. Poche ma vere parole…. Ci accomodiamo per un ricca colazione e riprendiamo il viaggio. Altre quattro interminabili ore trascorse ancora a schivare buche e superare dossi. La meta è una scuola da visitare che si trova in Burkina Faso, per farlo però dobbiamo capire quale strada intraprendere. Decidiamo di passare per il Togo, la strada che porta in Burkina è impraticabile ci dicono, mentre passando per il Togo ci sono “appena” cinquanta chilometri di pista. La bellezza del paesaggio compensa le difficoltà incontrate per strada. I grandi e solitari baobab, i Tatasomba, costruzioni ancestrali fatte in terra cruda, il sorriso dei bambini che passando per i villaggi salutano gridando “Yo Vo”, “Yo Vo”, che in lingua fon significa uomo bianco, catturano la nostra attenzione.

In Africa, tra le cose che non si possono fare vi è quella di programmare. Gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Due grandi bidoni rossi e bianchi ed una corda delimitano il confine con il Togo, finalmente ce l’abbiamo fatta. Ma ecco l’imprevisto, la macchina va in panne e ci lascia lì nel territorio di nessuno che è il confine, luogo di separazione fra i popoli e le culture. In questi posti dimenticati dagli uomini, non ci sono muri, filo spinato, barriere varie che separano le nazioni, semplicemente c’è il nulla, che per molti versi è ancora peggio, perché fa comprendere ancora di più la mancanza di comunione e di comunicazione, di incontri, in una sola parola: di fraternità.

Con i miei due compagni di viaggio, l’architetto Conni e il dottor Carlo, decidiamo di tornare in Benin, a poche centinaia di metri c’è la città-villaggio di Bukumbé. Altre sei ore di attesa ed in qualche modo risolviamo. L’occasione ci offre l’opportunità oltre che di osservare ciò ci sta intorno, anche di scambiare le nostre impressioni e considerazioni. Alla fine conveniamo che solo la fraternità salverà il mondo. Quella fraternità che sperimentiamo a Bukumbé dove siamo ospiti di un gruppo di famiglie che festeggia la domenica. Sedie, cibo e acqua ci vengono offerte senza chiedere nulla, solo per la gioia della condivisione.

Si, anche se stanchi, delusi, un po’ arrabbiati, ci sentiamo parte di questa umanità, povera ma più autentica perché più fraterna, dove il necessario non dev’essere chiesto ma semplicemente offerto ed accolto. Chissà se un giorno vedremo la bellezza di una terra senza confini, dove ciò che è necessario per vivere viene condiviso. Sarà questo il segno che la nostra umanità finalmente si sarà realizzata nella vera fraternità.

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